Fiscalità montana? Di certo diventa interessante l’idea di poter trasformare le aree interne e svantaggiate d’Italia in “zone franche” con fiscalità agevolata ed è il motivo per cui lo richiede la Cia-Agricoltori Italiani al Governo, nel giorno dell’Assemblea nazionale, che ha richiamato a Roma oltre 400 delegati da tutta Italia, per discutere di “Agricoltura al bivio”. Vediamo nel dettaglio come sono andate queste cose.
Fiscalità montana, i dati
I dati presentati da Denis Pantini di Nomisma all’Auditorium Antonianum non lasciano dubbi:
“Negli ultimi venti anni il 75% delle aziende (1,3 milioni in totale) che ha chiuso i battenti, era situato in aree collinari e montane e ha determinato la riduzione di 850mila ettari di superficie agricola coltivata.”
Nonostante questo punto saldo, per il sottosegretario al Mef, alle prese con una legge di Bilancio complessa e con poche risorse una defiscalizzazione è esclusa. Maurizio Leo, piuttosto, stima invece possibile lavorare a una proposta che metta definitivamente sul tavolo una serie di incentivi per fare in modo che chi si trasferisce in queste aree svantaggiate possa godere di benefici fiscali.
Le dichiarazioni
Non è un item secondario quello della fiscalità montana, tanto che sul tema così s’è espresso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
“Le sfide che riguardano l’agricoltura sono sfide di tutto il Paese.”
Nomisma non ha perciò fatto fatica ad elencarle tutte tra cui:
- climate change
- conflitti bellici
- protezionismo
- volatilità dei prezzi delle commodity
Un caso reso ancor più particolare dal fatto che, nonostante l’Italia sia la seconda potenza agricola della Ue per valore aggiunto generato, abbiamo assistito negli ultimi cinque anni a una crescita di tale valore (a prezzi correnti, comprensivi dell’inflazione) al di sotto della media: + 24%, contro una media Ue del 41%.
I numeri
Per capire ancora meglio, per quanto il nostro export agroalimentare sia esploso nell’ultimo decennio (+87%), anche le importazioni hanno seguito un trend analogo (+52%), generando un deficit commerciale. Perché? Secondo Nomisma, per via di un certo grado di autoapprovvigionamento che, nel caso di alcune filiere (dal grano duro all’olio d’oliva, dalla carne bovina al mais, da quella suina al frumento tenero), sembra essere notevolmente al di sotto dell’autosufficienza.
I danni provocati dai cambiamenti climatici
Non si può parlare di fiscalità montana senza considerare che i cambiamenti climatici hanno aggravato il quadro. Ecco un esempio:
“Nel caso del grano duro e del mais, il grado di autoapprovvigionamento è diminuito nel corso degli ultimi cinque anni, rendendo le nostre filiere della pasta e mangimistica ancora più dipendente dall’estero. L’agricoltura è a un punto di svolta, occorre imboccare la strada giusta.”
Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida non mette la testa nella sabbia. Anzi accetta la sfida e rilancia con queste parole:
“Ne ho parlato ieri con Raffaele Fitto: accanto alla Pac proporremo un fondo che vada a sanare le criticità infrastrutturali come acqua, energia, logistica e altri settori strategici della nostra Europa, perché le spese di investimento non continuino a gravare sugli agricoltori.”
E ora che ne sapete di più sullo stato attuale della fiscalità montana, compresi progetti come Dea Montagna, mettete da parte il pallottoliere e tirate fuori gli scarponi iniziando a progettare nuove escursioni ma sempre stando attenti alla sicurezza.
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